Ho passato una nottataccia. Il temporale, i vicini e gli aerei si sono accordati per non farmi chiudere occhio, destinando quindi la giornata di oggi all’umore nero. E’ domenica, è una bella giornata, tutti sono a spasso e io me ne stia rintanata a lamentarmi dietro ad un caffè in un centro commerciale. Che ci posso fare, sono sempre stata una brutta persona. Questo posto è popolato di gente che sembra fatta per essere intervistata da studio aperto, gente che cambia la sua risposta in base a come viene posta la domanda. I bambini urlanti invece, no, quelli non rientrano in nessuna categoria.
Sono passati mesi dal mio ultimo post, vorrei dire che molte cose sono cambiate ma dentro di me non ho fatto molti passi avanti. Una grande conquista ha segnato la mia vita, sono finalmente andata a vivere con Ro, ho lasciato casa mia e da quel giorno non ho più sentito nessuno litigare, non ho sentito porte sbattere, non ho sentito passi nervosi e pesanti sul pavimento. Nei giorni in cui stavo traslocando mia madre è stata ricoverata per un mese in un centro psichiatrico, stava bene ma appena tornata a casa ha avuto una bruttissima ricaduta ed era ingestibile. Doveva passare la nottata, era un momento di scollinamento e l’ha superato. Ora sta molto meglio e sembra in forze. Della sua depressione ho imparato ad accettare che non ci saranno più periodi buoni. Mamma passa da una mancanza totale di forze, che la costringe a letto per settimane, ad una carica di adrenalina, ansia e nervosismo che la porta ad essere iperattiva, stressante, assillante, la porta a rivangare dolori del passato, a riaccendere litigi con parentei e conoscenti senza nessun motivo che non sia sepolto da decenni. I farmaci non garantiscono alcun equilibrio, anzi sembrano amplificare il tutto in modo veramente pericoloso. Ora invece sembra avere un momento buono. Speriamo che duri.
Tentavo di recuperare qualche minuto di sonno oggi pomeriggio ma fissavo il soffitto inutilmente. Ro era uscito, avevo pulito e riordinato casa, avevo lasciato tutto in ordine ed immobile nella lice del pomeriggio. Anch’io ero immobile e ripassavo con la mente ogni angolo della mia casetta. Da fuori sarebbe davvero impossibile immaginare quanto bello c’è là, dentro quelle due finestrelle di una casa gialla, quanta poesia e quanta grazia nell’oro di una domenica di luglio. Ma io lo so, io sono là dentro e non potrei immaginare un altro posto dove sentirmi a casa.
A volte mi ci sento sola, e rimugino. Temo di essermi smarrita un momento che non so nemmeno più quale sia, e di aver intrapreso una strada dopo l’altra senza una ragione sufficientemente valida. Specie sul lavoro, non so perchè mi trovo in questa situazione e con questi problemi, forse ho continuato a fare qualcosa che non desideravo veramente ed ora è difficile districare la matassa, capire cosa voglio fare veramente e, soprattutto, come ottenerlo ma credo che questo richieda più coraggio ed onrestà di qualunque altra scelta nella vita. Essere se stessi forse è la cosa più difficile di tutte, forse perchè implica il conoscersi, l’accettarsi, l’accogliersi, l’amarsi, e io sono ancora (stupidamente) nell’empasse di chi attende tutto ciò dall’esterno. Enorme, banale, scontata, grandiosa cazzata.
Chiedo ancora amore come a chiedere di buttarsi nel cesso, e non solo amore. Approvazione, incoraggiamento, orientamento, tutto. Do col ricatto di dover essere ringraziata, amo ed ho fin troppo bisogno di essere riamata, e non c’è fine a questa competizione con l’altro, non c’è sazietà per chi è affamato di caramelle. Lo zucchero non sazia ma rende dipendenti.
Non so, non so come venirne fuori.
Quello che so è che, nonostante i chili di troppo, il capello trascurato, la faccia sbattuta e l’occhiale, nel tavolino di fronte a me si è piazzato uno con la faccia da scemo che legge due parole sul giornale e mi guarda, legge due parole e mi guarda. Forse è il modo che ha il mondo di dirmi di tornarmene a casa…